Il 28 Luglio il MoVimento 5 Stelle ha presentato il secondo rapporto economico sulla gestione dei rifiuti solidi urbani.
Il Gruppo di Castelvetro ha orgogliosamente contribuito alla stesura di questo interessante rapporto.
Prendetevi 2 minuti e leggete in quanto tratta di rifiuti ma, indirettamente, anche della nostra salute e del nostro portafoglio.
Castelvetro5stelle
Il 28 luglio 2016 abbiamo presentato il secondo rapporto economico sulla gestione dei rifiuti solidi urbani (RSU) in Italia.
Parliamo di un business da oltre 34 miliardi di euro (10 per i rifiuti urbani e 24 per i rifiuti delle attività produttive, speciali), con una spesa procapite nazionale per la gestione RSU di 167,8 euro per abitante.
Abbiamo analizzato dati puntuali su oltre 33 milioni di persone. Siamo partiti dalla gestione del rifiuto organico, la componente più facile da recuperare come compost, ma quella ancora più costosa, oltre 4 miliardi di euro all'anno, con una filiera patologica che vede transito di rifiuto organico dalla Campania al Veneto, dal Lazio alla Lombardia, quando con piccoli impianti comunali elettromeccanici e con una forte spinta al compostaggio domestico e di comunità, si potrebbe creare un quantitativo abbondante di compost prezioso per la fertilità dei campi.
L'ERSAF (L'Ente Regionale per i Servizi all'Agricoltura e alle Foreste) stima nel 90% l'obiettivo di concimazione organica dei campi, lasciando il 10% alla chimica, ad oggi siamo all'opposto, con la prevalenza della costosa e inquinante concimazione chimica. I piccoli impianti (max 1000 tonnellate annue) anche secondo il rapporto ISPRA producono compost di maggiore qualità rispetto a impianti industriali, dove è anche più frequente l'abuso con mescolanze improprie; se il cittadino sa che il rifiuto organico torna sui campi da cui si nutrirà ha un maggiore incentivo a differenziare in maniera adeguata. La filiera lunga deresponsabilizza tutti gli attori.
Ci siamo concentrati sull'indagine conoscitiva dell'AGCOM pubblicata nel febbraio 2016 che ha evidenziato alcuni punti condivisibili: la necessità di deassimilazione di una parte dei rifiuti speciali, di affidamenti di gestione per massimo 5 anni e verifica nel tempo del rispetto delle condizioni della stipula, di separazione della fase di raccolta da quella di smaltimento. Questi punti sono contenuti nelle nostre proposte di legge.
Non concordiamo sulla critica all'eccessivo numero di operatori, quando l'AGCOM stessa critica le situazioni di cartello che limitano la concorrenza; né sulla necessità di incremento della capacità di incenerimento del 50%, quando la produzione dei rifiuti è in diminuzione e Lombardia ed Emilia Romagna, campioni di incenerimento, nei loro piani regionali hanno previsto la progressiva dismissione dei costosi e inquinanti impianti; non concordiamo sulla spinta alla produzione di CSS che sposta inquinamento e spinta alla produzione di rifiuti al campo dei cementifici.
Un altro punto importante su cui ci siamo soffermati è quello del bacino di utenza adeguato, individuato dall'AGCOM fra i 200 e i 500 mila abitanti (fino a 200mila utenze), che concorda con i dati economici raccolti dal nostro studio. Concordiamo sulla critica al sistema dei consorzi per la gestione degli imballaggi: dal punto di vista economico solo il 20% del prezzo della raccolta è coperto dai contributi ambientali e il sistema tendente al monopolio non facilita la concorrenza e il recupero di materia. La nostra proposta prevede consorzi non solo su base nazionale e la possibilità di vendita sul mercato direttamente da parte dei comuni.
Ecco alcuni nostri dati sui principali gestori (22 milioni di abitanti): differenza economica fra gestore GESTORE NO INCENERITORI: Utenza domestica 180, Utenza ND 1090, RD 60% GESTORE CON INCENERITORI: Utenza domestica 200, Utenza ND 1250, RD 52%
Un'utenza non domestica in caso di possesso di inceneritori costa il 15% in più, il 10% per l'utenza domestica, parliamo di oltre 1 miliardo di euro tenendo conto che ci sono realtà virtuose dove la filiera si chiude senza incenerimento.
Da alcuni dati analitici si evince che l'energia netta messa in rete da un inceneritore corrisponde all'1,5% (inceneritore di Padova) quando ne viene incentivata il 46%, svelando la speculazione degli incentivi all'incenerimento che nel 2015 ci sono costati 585 milioni di euro (dati GSE). Il piano del Governo di realizzare almeno 10 nuovi inceneritori potrebbe far collassare il bilancio.
Si moltiplicano i casi di outing in cui i gestori stimano le perdite milionarie da part degli inceneritori: Acerra 46 milioni in 20 anni, Ospitaletto 3 milioni annui, ecc...
Le nostre proposte di consultazione e valutazione dell'impatto cumulativo rivelano in questa fase la loro forza, un business plan reale degli impianti di recupero energetico da rifiuti allontanerebbe queste pericolose avventure ambientali che non stanno in piedi neppure con incentivi.
Affrontando i gestori sul versante economico ma da un punto di vista gestionale, abbiamo scoperto che nel caso di GESTORE PRIVATO/MISTO il COSTO PER ABITANTE è di 180 euro, per Utenza domestica 185, per Utenza non domestica (ND) 1170 GESTORE PUBBLICO: COSTO PER ABITANTE 165, Utenza domestica 175, Utenza non domestica 1090.
Sempre valutando i principali gestori nazionali con 22 milioni di utenti. In pratica la gestione pubblica fa risparmiare il 7% alle utenze non domestiche, il 6% per utenza domestica, il 9% per abitante. Unendo vari fattori, come la gestione pubblica e un bacino adeguato, si arriva al virtuosismo di Contarina, con un 111 euro procapite anche in città a Treviso, 166 per utenza domestica e 791 per utenza ND, con risparmi del 62% procapite sulla gestione privata media, dell'11% sull'utenza domestica, del 48% sull'utenza ND.
Grazie ai dati assunti con la Commissione ecomafie in Germania, abbiamo potuto apprendere che in Germania vengono trattate 339 milioni di t di rifiuti, oltre il doppio dell'Italia, che il business è di circa 40 miliardi di euro, che equivale a una spesa doppia dell'Italia per kg di rifiuto (34 miliardi per 150 milioni di t)! In Germania metà della popolazione si avvale di un sistema di raccolta pubblico, che garantisce un costo procapite di 50 euro a tonnellata. È in vigore il "vuoto a rendere" per gli imballaggi in PET, i comuni guadagnano sulla raccolta della carta (altro che 20% di copertura della RD), non esistono incentivi all'incenerimento dei rifiuti. Questi dati supportano ulteriormente la ricerca di una filiera dei rifiuti dove la prevenzione e la raccolta siano in mano pubblica e con bacini adeguati.
Anche quest'anno i dati sulla produzione rifiuti confermano l'incremento dei costi proporzionato alla produzione e la riduzione dei costi in proporzione all'incremento della RD. Le regioni con più inceneritori (Emilia Romagna 8 e Toscana 5) sono quelle con la più elevata produzione di rifiuti, l'Emilia ha solo l'1% di comuni ricicloni, dimostrando che la presenza di grandi impianti complessi si correla a una filiera patologica per l'evidente conflitto d'interessi. L'Emilia Romagna ha poi il costo procapite regionale più elevato nel Nord Italia, dimostrando che la presenza di monopolisti gestionali (HERA) riduce la concorrenza.
In particolare l'accordo ANCI-Conai 2014-2019, firmato da Fassino, che dovrebbe garantire copertiura dei costi per la RD degli imballaggi e trasparenza, vede in alcuni comuni presi in esame un costo per il recupero degli imballaggi tra gli 800 e i 1000 euro a tonnellata, con una copertura dei costi del 20% da parte dei consorzi. Anche in termini di percentuale di RD si è notato come l'inserimento di sfalci e potature nel materiale raccolto in maniera differenziata, così come del multimateriale, sia una sorta di droga del conteggio, che dal 50% dovrebbe scendere al 20% e chissà cosa succederà con la scellerata prescrizione contenuta nel "collegato agricolo" recentemente approvato che toglie gli sfalci e le potature (così preziose per realizzare il compost) dalla filiera dei rifiuti per gettarli nella filiera biomassista degli incentivi inquinanti a indice di ritorno energetico negativo.
Sarebbe necessario rivedere completamente i rapporti b) Il delegato del gestore non dovrebbe entrare nel Comune C ) Avere tutti i dati degli ultimi 5 anni con le classi di merito per ogni materia recuperata D ) Cosa ci è costata recuperare ogni materia prima seconda E ) Istituire una commissione d'inchiesta Comunale per ogni Comune o unione di Comuni F ) Togliere dalla RD tutte le raccolte con MUD aziendale G ) Togliere la raccolta del verde e degli sfalci che spesso rappresenta il 50% H ) Comunicare la cifra ai cittadini corrisposta dal CONAI ogni anno per ogni materia I ) Rivedere completamente il sistema di controllo del trasporto da parte del delegato L ) Il Comune dovrebbe pagare per il servizio realmente fornito con la ECONOMICITA' pattuita dall'accordo ANCI CONAI Ricordiamo che la filiera dei rifiuti se mirasse al recupero di materia, potrebbe portare a 195mila nuovi posti di lavoro in Italia (studio Althesys) quando in italia solo 68mila eprsone lavorano nel settore, anche per la presenza di grandi impianti complessi (inceneritori, megaimpianti a biogas e biomasse, megaimpianti di compostaggio) a basso indice occupazionale.
In conclusione dallo studio: Fattori che influenzano maggiormente il costo della gestione dei RSU variabili "positive" sono le seguenti: RD > 65% abbinato ad un effettivo avvio a riciclaggio
INCENERIMENTO (anche con recupero energetico) < 20%
produzione di rifiuti procapite < ai 400 kg, da attuare con piani diversificati in base alle varie tipologie di utenze domestiche e non domestiche.
COMPOSTAGGIO domestico (o di comunita') in luogo dell' invio dell' organico a impianti industriali.
Raccolta dei rifiuti senza ricorrere a subappalti e tramite piccoli "CONSORZI DI SCOPO" fra comuni vicini.
Estraneità a IMPIANTI DI GESTIONE DI RIFIUTI, in particolare di smaltimento o recupero energetico (ivi comprese centrali a "biogas" e "biomasse"), ma anche di "riciclaggio": giova ricordare che la prevenzione dei rifiuti è prioritaria rispetto al riciclaggio e che ogni tipo di impianto tende a richiedere quantità minime garantite di rifiuti per il suo funzionamento.
Proposte operative gestione con AZIENDE PICCOLE LIMITATE A COMUNI VICINI, uscire da partecipazioni in aziende troppo grandi e aziende che lavorano con subappalti (escluso recupero energetico e smaltimento). Bacini non superiori a 500mila abitanti, non allargare i bacini esistenti, fermare l'avanzata di grandi multiutility. EVITARE INVESTIMENTI IN GROSSI IMPIANTI, di qualunque tecnologia: gli impianti (anche quelli di riciclaggio e di "digestione anaerobica") richiedono quantita' minime garantite di rifiuti in ingresso, e pertanto scoraggiano qualunque forma di prevenzione. l'obbligatorieta' della compilazione di un RAPPORTO SUI COSTI DELLA GESTIONE DEI RIFIUTI che sia sufficientemente dettagliato. a) percentuale di ripartizione del PEF fra utenze domestiche e non b) criteri oggettivi per definire il numero di utenze domestiche e non domestiche (che siano il numero di utenti e non di immobili) c) indicazione della spesa complessiva del PEF a consuntivo e non a preventivo. < RECUPERO ENERGETICO (CALCOLARE EROI E LCA): passare la soglia del 30% di recupero energetico fa lievitare enormemente i costi di gestione, specialmente se si abbina il recupero energetico ad un' alta produzione di rifiuti, costi diventano ingestibili, passando tranquillamente oltre i 200 euro pro capite. Indicazione: massimo tollerabile di recupero energetico sia il 10%. Un portale per le BAP (Best Available Practices), cioè che metta a disposizione di tutte le amministrazioni e dei gestori le migliori pratiche esistenti (ad esempio su come organizzare la raccolta in un territorio di montagna, oppure come prevenire l'ingresso dell' organico nella filiera dei rifiuti). Non impianti, ma metodi. Dal punto di vista normativo AGGIORNARE IL DPR 158/99, prevedendo innanzitutto l'obbligatorietà di una ripartizione fra utenze domestiche e non domestiche basata su criteri oggettivi, quali la produzione effettiva di rifiuti, a prescindere dalla superficie, dall' attivita' esercitata e/o dal numero di occupanti. rapportare la parte variabile della tariffa esclusivamente alla quantita' di rifiuti prodotti, e non anche ai costi variabili della gestione.
Sarebbe necessario introdurre l'obbligatorietà della pesatura all'origine dei rifiuti e della tracciabilita' del produttore, dal momento che oggi la tecnologia consente di farla, attraverso l'installazione obbligatoria sui contenitori di dispositivi a radiofrequenza (RFID), . Questo consentirebbe di basare il sistema tariffario esclusivamente sulla quantita' e tipologia di rifiuti prodotti e di conseguenza di modificare anche l'art. 238 del D.Lgs 152/2006 al fine di eliminare il nesso fra superficie e tariffa e razionalizzare le tariffe eliminando coefficienti e artifici vari.
Le aziende "miste" sono sempre più sotto la lente di ANAC e procure antimafia, per la possibilità di eludere i controlli e avere meno trasparenza negli appalti. In realtà basterebbe verificare i risultati economici e agire con trasparenza verso i cittadini per escludere dal mercato chi ha prezzi troppo elevati e tende al compromesso. Se davvero esistesse un'economia di scala, Hera con i suoi 3,3 milioni di utenti dovrebbe avere prezzi ben inferiori alla media nazionale di 170 euro procapite.
Segui il denaro!
Alberto Zolezzi, M5S Componente Commissione Ambiente Camera Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti